«Quando sarò grande farò lo scandolaio» | Club Alpino Svizzero CAS
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«Quando sarò grande farò lo scandolaio»

Tristan Ropraz è scandolaio. Il 26 friburghese ci ha accolti nel suo laboratorio di Sorens per introdurci alla fabbricazione di queste tegole in legno e raccontarci il suo mestiere, tanto prossimo ai ritmi delle stagioni.

Tristan Ropraz ha scoperto la propria vocazione un mattino, tornando da scuola. «Mi sono imbattuto in uno scandolaio che riparava la copertura di un crocifisso nel mio villaggio di Sorens.» Legno, chiodi, martello: il ragazzo è affascinato. «Devo tornare a vedere», dice alla mamma dopo il pranzo. Dall’alto dei suoi otto anni, il ragazzo si offre di aiutare l’artigiano. «Parlavo il dialetto, e lui anche. Si è subito creato un legame.» Il ragazzo rimane fino a sera. «Quando sarò grande farò lo scandolaio», dichiara al suo mentore. Questi, Joseph Doutaz, detto Zèzè, gli consiglia di imparare innanzitutto la professione del legno.

Agli ordini della natura

Uno tra i molti che il mestiere dello scandolaio conosce. In questo mattino di settembre, nel quale ci accoglie nel suo laboratorio con vista sul Moléson, l’oggi 26enne sta tagliando del legno. Armato del suo mazzuolo di legno e del coltello da scandole, spacca le «mujyà», sorta di ceppi, in tavolette da sei millimetri di spessore. Poi sostituisce le tavole di legno nell’ordine in cui le ha tagliate e ricomincia. Tutta la giornata. E tutta la settimana, da metà novembre a metà aprile. È il ciclo della fabbricazione.

«L’inverno serve a riposare il corpo e lo spirito, non c’è più bisogno di riflettere: facciamo le «mujyà», le cerchiamo e le mettiamo fuori», spiega questo innamorato della tradizione che non ci vede nulla di noioso o ripetitivo. Perché se in teoria il gesto è sempre il medesimo, nella pratica ogni scandola è diversa. «Bisogna avere gli occhi alle dita, come dice il mio maestro.» La difficoltà consiste nel fendere il legno seguendone la vena con il coltello da scandola così da non lacerarlo e conservare l’impermeabilità del legno e quindi quella del futuro tetto. Ogni colpo di mazzuolo è oggetto di riflessione.

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«Bisogna avere gli occhi alle dita, come dice il mio maestro.»
Tristan Ropraz,
scandolaio

Gli scandolai vivono al ritmo delle stagioni. «Siamo come le marmotte: quando fa freddo entriamo in casa, quando fa caldo usciamo», scherza il giovane dalla carnagione abbronzata. L’inverno è dedicato alla fabbricazione delle scandole, la primavera e l’autunno ai cantieri di pianura, l’estate a quelli di montagna. «Nella bella stagione si piantano chiodi, chiodi, chiodi.» Con il suo martello, uno scandolaio batte da 150 a 200 chili di chiodi all’anno, in ragione di un migliaio ogni tre metri quadrati di scandole. «Ma non bisogna contare tropo, altrimenti si diventa matti», avverte Tristan Ropraz.

Un onore

Per questi artigiani, l’anno inizia in autunno, con le marcature nel bosco che servirà alla fabbricazione delle scandole. Nel Cantone di Friburgo si considerano esclusivamente gli abeti rossi, o «pianta da scandole», come sono anche chiamati. «Per lo scandolaio è il momento più bello, l’inizio dell’intero processo del lavoro», dice entusiasta Tristan.

La marcatura inizia a 1000 metri di quota. «Più la pianta cresce in alto, meno ha nutrimento e cresce quindi più lentamente, dando scandole più durature.» Gli scandolai prediligono i fondi di conche all’ombra e al riparo dai venti, dove gli alberi crescono «diritti verso il cielo». Solo un abete rosso su 1000 è adatto alla lavorazione, spiega Tristan, che per il 2024 avrà bisogno di 25 o 30 alberi. «Ho molto rispetto per queste piante che erano qui ben prima di noi e spesso rimarranno sui tetti ben oltre la nostra dipartita», afferma. «Lavorare con del legno vecchio di 150 anni è un onore, rende umili e rimette il campanile al centro del villaggio.» L’abbattimento ha luogo a metà novembre, nell’ultimo quarto di luna calante, in modo che nell’albero vi sia meno linfa possibile così da non attrarre i parassiti.

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«Ho molto rispetto per queste piante che erano qui ben prima di noi e spesso rimarranno sui tetti ben oltre la nostra dipartita.»
Tristan Ropraz,
scandolaio

«Ripiantare» le scandole

Questa mattina, mentre fende le sue «mujyà» dal buon profumo di pino, Tristan Ropraz è in anticipo sul suo calendario abituale. «Questo legno viene da là, di fronte», dice indicando un bosco sui fianchi del Moléson. «Un’intera trincea è stata abbattuta per realizzare una nuova pista di sci, e dentro c’era del legname da scandole. Al mio maestro e a me viene ogni volta il voltastomaco, ma siamo andati laggiù e siamo riusciti a salvare sei tronchi.» Ma siccome per lo scandolaio gli alberi sono stati abbattuti nel momento sbagliato, il legno rigurgita di linfa. Lo scandolaio le posa allora al più presto, perché una volta sparsa potrà seccare.

«È sempre un’emozione ‹ripiantare› le mie scandole», ammette il giovane. Così come lo è posare l’ultima sulla falda di uno chalet: «Mi siedo, guardo l’orizzonte e ripenso a quelle scandole che ho fabbricato una a una, e inchiodate una a una.»

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«Mi siedo, guardo l’orizzonte e ripenso a quelle scandole che ho fabbricato una a una, e inchiodate una a una.»
Tristan Ropraz,
scandolaio

Sarebbe tuttavia sbagliato limitarsi agli aspetti romantici del mestiere. «Molti vedono soltanto l’aspetto dello chalet, la quiete, la natura, ma non si rendono conto di tutto il lavoro che ci sta dietro! Il legname non sale da solo sul tetto, è un lavoro fisico», esclama l’ex campione romando di lotta. Tanto più che non è facile vivere delle scandole. Il prezzo al metro quadrato si aggira attorno ai 175 franchi, e include il legname, la fabbricazione, il trasporto e la posa. Il Cantone di Friburgo sovvenziona taluni interventi. Il giovane scandolaio, un tempo deriso dagli amici a causa del suo «mestiere da vecchi», si dice tuttavia convinto di esercitare una professione del futuro. «Non si parla d’altro che di ecologia e di prossimità. Il legno è un materiale ecologico, e quello che noi utilizziamo proviene dai boschi della Gruyère. È difficile far meglio.»

In termini di durata, un tetto ha una vita media d1 35-40 anni – grosso modo quella di una bella carriera di scandolaio. È quindi raro che un artigiano sia ancora attivo al momento di sostituire la sua opera. È così che un giorno di giugno del 2021 Tristan è stato incaricato di rifare il tetto del crocifisso di Sorens, che avrebbe dovuto essere spostato. Proprio quello che Zèzè aveva restaurato anni prima, trasmettendo la sua passione a un ragazzo del villaggio. In quel giorno, un altro cerchio si è chiuso.

Autore

Martine Brocard

In questa serie di otto puntate parliamo delle professioni ad alta quota. Nel prossimo numero: …

A mestiere tradizionale, terminologia tradizionale

La scandola porta con sé un lessico legato al legno, fortemente caratterizzato dai dialetti e che può persino variare a seconda del professionista. La breve esposizione che segue è un adattamento della terminologia francese all’uso in lingua italiana. Per esempio, al momento della selezione l’artigiano eviterà possibilmente il legno che «svergola», cioè il cui tronco si torce su se stesso, e che rischierebbe di creare gobbe sul tetto. Sui cantieri il lavoro viene interrotto nelle ore più calde per evitare che le scandole si «imbarchino», sollevando i bordi. In corso di fabbricazione, lo scandolaio si augura che il legno si fenda «cantando», con un suono acuto, e che non «bramisca», suonando come il cupo richiamo del cervo. È pure opportuno realizzare scandole regolari, evitando sia quelle troppo spesse che, al contrario, i «papiri».

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