Sotto l’incantesimo dei quattromila Ascensione al Balfrin
Sul Balfrin si è vicinissimi alle celebri vette del massiccio del Mischabel – ma la salita è un po’ più breve.
Certo che ci sarebbero vette ben più note, in Vallese, soprattutto molti allettanti quattromila dai nomi armonici. Ciònonostante il Balfrin, coi suoi 3796 metri, vale certo un’escursione, non fosse altro che per il magnifico percorso d’avvicinamento alla capanna. L’ascesa parte da Gasenried, un grazioso paesello sopra St. Niklaus, nella Mattertal. Il sentiero sale nel fragrante profumo di boschi di larici, finché al P. 2030 si supera il Riedbach – un ruscello – e si apre per la prima volta la vista sul ghiacciaio, il Riedgletscher. La dolce vallata coi suoi rododendri in fiore, col suo scrosciante ruscello e col suo adorabile laghetto inviterebbe a una piacevole sosta. Ma la nostra meta è ancora lontana, bisogna colmare altri 850 metri di dislivello.
Nomi esotici
Più avanti il sentiero scorre alle spalle della possente morena laterale, testimonianza della massima elevazione raggiunta dal ghiacciaio pressappoco verso la metà del XIX secolo, supera l’alpe Alpja, e io continuo a interrogarmi sull’origine del nome Balfrin. A orecchio questa vetta l’avrei collocata nei Grigioni piuttosto che in Vallese. Che cosa ci dicono gli etimologi? A detta del linguista svizzero Iwar Werlen, non si può risalire a un chiaro, indubbio significato del nome della cima. Le varie ipotesi, per esempio che il nome provenga dalla parola «Balenfirn» (cioè firn, o neve primaverile, di Balen, dove quest’ultimo si riferisce alla località di Saas-Balen), o addirittura che derivi dalle radici arabe «bal» (grande) e «ain» (sorgente), non convincono per ragioni sia morfologiche che fonetiche. All’atto dell’attraversamento del Riedgletscher ho però all’improvviso preoccupazioni di tutt’altro genere, poiché l’attenzione va adesso rivolta ai piedi e al fondo scivoloso.
Dopo quattro ore di salita ci troviamo davanti alla Bordierhütte. Di nuovo un nome dal suono esotico, che sembra stonare nell’Alto Vallese. Ma questa volta la spiegazione è semplice: la capanna venne costruita nel 1927 dalla sezione di Ginevra del CAS, grazie a una generosa donazione di Pierre Bordier, banchiere ginevrino e grande amante della montagna. Questa è quindi una delle poche capanne del CAS che porta il nome di una famiglia.
Frenesia mattutina
Nel cuore della notte si leva un gran fracasso nella piccola capanna, e la maggior parte degli ospiti, tutti insonnoliti, frugano e rovistano nei loro zaini per interminabili minuti che a noi sembrano ore. Loro inseguono mete più ambiziose della nostra: in programma hanno l’ascesa al Nadelhorn, via Selle, Dirruhorn e Hobärghorn. Così mettono a segno tre quattromila in un solo colpo. Noi ci giriamo ancora una volta nel letto, e i piedi sul Riedgletscher li poggeremo solo un paio d’ore più tardi. A 3300 metri di altitudine zigzaghiamo tra i seracchi e poco dopo raggiungiamo il passo del Ried, dove ha inizio la facile arrampicata verso la cima del Balfrin.
La vista dalla vetta è impressionante, mille altre mete ci salutano. Lo scenario è comunque dominato dal gruppo del Nadelhorn, e capiamo perché questa montagna attiri così tanta gente. Anche noi vogliamo infilare un’altra vetta, e scendiamo dal versante nordovest per poi – attenzione, cambia l’orientamento – risalire il versante sud del Gross Bigerhorn. Con i suoi 3626 metri dista ancora un po’ più da un quattromila...
Tornati sulla terrazza della capanna, ci prendiamo un po’ di tempo per riordinare i nostri pensieri – il ricordo di una splendida, facile escursione in alta montagna; forse anche il pensiero di tutti quei quattromila mancati. E infatti qualche giorno più tardi il mio compagno di gita metterà i piedi sul Nadelhorn.