Ritorno ai monti
«Andare in montagna significa prestare attenzione: alle/ai compagne/i, alle necessità più elementari, al mondo che ci circonda. Questo atteggiamento di prudenza, di gratitudine, di meraviglia, mi anima fin dall’infanzia, dalla prima volta che mi portarono in montagna, sulle Dolomiti. Questo stesso atteggiamento mi ha obbligato, in una vita all’insegna della velocità, a rallentare, a meravigliarmi, a rispettare la natura. E questo atteggiamento ha ispirato anche il mio primo libro.» Dice così Reinhold Messner e vale senz’altro per questo testo che per la prima volta è stato pubblicato mezzo secolo fa, all’indomani della tragedia del 1970 sul Nanga Parbat in cui perse la vita suo fratello Günther. Come scrive il giornalista Paolo Paci, Ritorno ai monti è stato per il giovane Messner un momento catartico con cui recuperare l’equilibrio e i valori perduti. Ma ancor più per il mondo alpinistico di allora, e per la letteratura di montagna, è stato un momento di rottura, un testo rivoluzionario. Erano gli anni in cui ancora risuonavano le pagine eroiche di Bonatti, Desmaison, Rébuffat, i «récit d’ascension» ricchi di pathos e tempeste. Messner invece scrive di una montagna esistenziale ed ecologica ante litteram, un alpinismo gestuale e istintivo, felice, fine a se stesso.
Natascha Fioretti
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Reinhold Messner