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Non è più il mio CAS

In merito all’articolo «Limitazioni sproporzionate e inutili» in «Le Alpi» 11/2015

Il CAS chiede il libero accesso anche nelle zone centrali del previsto parco nazionale dell’Adula. Non si può rassegnare al fatto che nella zona centrale, che con una superficie pari a 150 km2 rappresenta solo una frazione dei 1250 km2 del parco intero, non sia permesso uscire dagli itinerari prescritti. Al gruppo di lavoro che ha concretizzato le disposizioni dell’Ordinanza sui parchi il CAS ha collaborato, ma non è riuscito a far passare le proprie richieste. Il fatto che ora imbocchi la via della divulgazione pubblica testimonia di una scarsa capacità negoziale.

Tutto ciò è tuttavia purtroppo coerente con il quadro che, in questi ultimi anni, mi sono fatto del CAS: cioè che, per i suoi responsabili, contrariamente allo statuto vigente le questioni ambientali rivestono ormai poca, se non nessuna importanza. Lo testimoniano anche le opposizioni alle zone di tranquillità per la fauna selvatica definite in Vallese, dove gli interessi degli sportivi della montagna vengono anteposti a quelli della natura. Il CAS si è allora visto sconfessare dal Tribunale federale, con una sentenza che getta cattiva luce anche sull’interpretazione del diritto da parte dei responsabili dell’associazione. Il diritto di ricorso concesso nella Legge federale sulla protezione della natura e del paesaggio (LPN) alle «organizzazioni ambientaliste» è infatti stato abusato nell’intento di favorire l’imporsi degli interessi dello sport della montagna.

Il CAS deve decidere se intende essere un’associazione con diritto di ricorso, come in effetti già è, facendo determinate concessioni per la tutela attiva del mondo della montagna, oppure un mero sodalizio di interessati agli sport della montagna e uscire dalla cerchia delle organizzazioni legittimate all’opposizione. Il mio Club Alpino, al quale appartengo ormai da oltre 40 anni, non esiste più!

Detlef Conradin, Benzenschwil

Presa di posizione del CAS

Il citato ricorso della sezione Monte Rosa faceva riferimento al coinvolgimento ritenuto lacunoso in sede di definizione delle due zone di tranquillità per la fauna selvatica. Tale coinvolgimento è previsto dall’Ordinanza sulla caccia e serve all’elaborazione di soluzioni adeguate, ampiamente sostenute e proporzionate. Né sussistono gli estremi per un abuso del diritto di ricorso delle associazioni ai sensi della LPN, poiché si trattava di un cosiddetto «ricorso per propri associati»: a difesa del libero accesso, il CAS non può fare appello alla LPN. Un’opposizione di questo genere da parte delle cerchie del CAS non rappresenta inoltre alcuna regola, ma semmai un’eccezione. In Svizzera vi sono nel frattempo quasi 700 zone di tranquillità per la selvaggina, e in relazione alla loro definizione il CAS punta fondamentalmente sulla collaborazione e sul consenso.

Erik Lustenberger, Comitato centrale

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