Neve, ghiacciai e permafrost 2018/2019 Rapporto sulla criosfera delle Alpi svizzere
Nell’inverno 2018/2019 è caduta molta neve, che qua e là ha causato forte pericolo di valanghe. Ciò nonostante, le perdite subite dai ghiacciai svizzeri nell’estate 2019 è stata importante. Le nevicate abbondanti non hanno neppure protetto dalla calura estiva il permafrost, che continua a riscaldarsi.
Condizioni meteorologiche e neve
Il semestre invernale 2018/2019 è stato caratterizzato da forti differenze tra nord e sud. Al sud il tempo è stato prevalentemente secco e mite. Anche il versante settentrionale delle Alpi ha conosciuto un inverno generalmente mite, ma stando a MeteoSvizzera alle alte quote si è nel contempo assistito al gennaio più freddo da più di 30 anni, con nevicate intense. Le quantità maggiori, con livelli da primato, sono state registrate soprattutto nell’est del paese. Da metà gennaio a fine febbraio, con l’eccezione di brevi interruzioni ha dominato il sole, e febbraio è stato inoltre caratterizzato da temperature primaverili. A fine febbraio, i livelli della neve risultavano al di sopra della media solo sulla cresta principale delle Alpi e all’est, mentre al sud erano nettamente al di sotto. A inizio aprile 2019, intense nevicate fino alle basse quote nella regione del Gottardo hanno fatto registrare primati parziali nelle cifre cumulate della neve fresca di due giorni.
In generale, a nord delle Alpi, da novembre ad aprile l’inverno è stato molto ricco di neve (figura 1). Soprattutto in Vallese e nel nord dei Grigioni i livelli della neve sono risultati maggiori dal 20 al 50% rispetto alla media del 1971-2000. A meridione della cresta principale e nelle altre regioni alpine si situavano invece nella media. Al di sotto dei 1000 metri, per contro, ci si è dovuti accontentare una volta ancora di poca neve.
Dopo il maggio freddo la calura estiva
Maggio è stato nettamente più fresco del normale in tutto il paese, secondo MeteoSvizzera il più freddo dal 1991. Si sono perciò viste singole nevicate fino in pianura, mentre i livelli della neve in quota sono ulteriormente aumentati. A fronte delle già grandi quantità di neve, a fine maggio, al di sopra di circa 2000 metri se ne sono misurate quantità da due a tre volte superiori alla norma. Sulla Weissfluhjoch/GR, il 30 maggio è stata registrata la maggior quantità di neve dal 1937, anno di inizio delle misurazioni. Nel 2019, l’altezza media della neve in maggio e giugno alla Weissfluhjoch era di rango 4, con posizioni da 1 a 3 prima del 1981. Non sorprende perciò che oltre un terzo delle stazioni di misurazione automatiche d’alta quota (prime installazioni nel 1994) si situino al primo livello per quanto riguarda l’altezza media della neve in maggio/giugno. Queste masse nevose si sono dissolte con estrema rapidità nel secondo giugno più caldo dall’inizio delle misurazioni e nel successivo luglio, pure canicolare (figura 2), così che in molti luoghi il loro scioglimento è avvenuto solo poco più tardi del normale. La calura di agosto ha fatto sì che conoscessimo la terza estate più calda dall’inizio delle misurazioni. Diversamente dall’estate 2018, tuttavia, nella maggior parte delle regioni sono state registrate precipitazioni abbondanti. Ciò nonostante, come per la prima volta nel 2018, tra giugno e agosto sulla Weissfluhjoch non è caduta neve fresca, mentre in media il suo valore estivo cumulato è di circa 80 centimetri. Con l’eccezione di alcune precipitazioni in settembre, proprio a causa del caldo ha solitamente nevicato solo al di sopra dei 3000 metri.
Ghiacciai
Molta neve, forte scioglimento
Il ritiro dei ghiacciai svizzeri, in atto da anni, è continuato. Gli auspici ricchi di speranze legati all’inverno lungo e generoso di neve sono stati annientati dall’intenso scioglimento estivo, alimentato da diversi e prolungati periodi di calura. Ciò nonostante, le perdite si sono rivelate leggermente inferiori a quelle registrate nei periodi di misurazione 2016/2017 e 2017/2018. Nel 2019, la quantità di neve invernale e la perdita di massa annuale è stata determinata per quasi 20 ghiacciai, mentre la variazione di lunghezza è stata rilevata per un centinaio di ghiacciai. Estrapolando i valori a tutti i ghiacciai svizzeri, si è constatata una perdita di oltre un miliardo di metri cubi di ghiaccio, corrispondente all’incirca al consumo annuo nazionale di acqua potabile. Gli anni caratterizzati da forte scioglimento sono sempre più frequenti: negli ultimi cinque, la Svizzera ha perso circa il 10% del proprio volume di ghiaccio.
Al momento delle misurazioni di fine aprile, sui ghiacciai c’era dal 10 al 50% di neve in più rispetto all’ultimo decennio. L’eccedenza era particolarmente pronunciata nella regione del Gottardo e nell’est del paese. Ciò nonostante, in settembre tutti i ghiacciai esaminati mostravano nette perdite. I cali più significativi dello spessore medio del ghiaccio sono stati riscontrati nell’Oberland bernese occidentale e in Engadina; quelli inferiori nel Vallese meridionale e nelle Alpi centrali. Su scala svizzera, lo scioglimento estivo è risultato dal 10 al 40% maggiore rispetto alla media degli ultimi dieci anni (figura 3). Solo sul piccolo ghiacciaio del Pizol le perdite sono apparse un po’ meno drammatiche. Tuttavia, poiché nell’estate 2019 questo ghiacciaio era quasi completamente scomparso, i suoi dati non sono più rappresentativi. In autunno, il ghiacciaio del Pizol è stato «inumato» con grande effetto mediatico.
Più difficile la misurazione della lunghezza
Il ritiro delle lingue glaciali rispecchia le condizioni climatiche prevalenti su un periodo di diversi anni e non quelle di un unico anno. Gli influssi climatici si ripercuotono sull’estremità della lingua con ritardi diversi a seconda delle dimensioni del ghiacciaio. Quasi tutti i ghiacciai esaminati hanno mostrato una costante riduzione della lunghezza. La posizione dell’estremità è rimasta praticamente invariata solo in otto eccezioni. Nella gran parte dei casi, il ritiro è risultato compreso tra 0 e 30 metri. I ritiri estremi di oltre 100 metri (p.es. il Glacier de Tseudet/VS o il Vadret da Sesvenna/GR) sono stati osservati laddove l’estremità della lingua è andata assottigliandosi sempre più nel corso di anni. La massa di ghiaccio residua si sgretola quindi in un unico anno, e l’estremità del relativo ghiacciaio arretra in modo impressionante. A causa del costante ritiro, alcune lingue glaciali sono nel frattempo venute a trovarsi in terreni inaccessibili: la loro misurazione è perciò connessa a maggiori dispendi e non può quindi più essere eseguita ogni anno. La continuazione delle serie di misure è tuttavia garantita anche grazie al maggiore ricorso a nuove tecnologie, come i droni e le immagini aeree.
Permafrost
Sempre in crescita la profondità dello strato di disgelo
A fine autunno 2018, in molti luoghi era presente un precoce manto nevoso compatto che ha contribuito a conservare il calore estivo negli strati superiori del terreno. Nell’inverno 2018/2019 questo ha dato luogo a temperature superficiali superiori alla media, in particolare nella regione del Gottardo e a sud delle Alpi. Siccome lo scioglimento è stato rapido, anche se relativamente tardivo in molti luoghi a causa della spessa copertura nevosa, il sottosuolo è rimasto protetto più a lungo dalle temperature elevate dell’aria. Nei punti esposti, dove tipicamente la neve non rimane oppure resta solo per periodi brevi, sono per contro stati registrati nuovi record delle temperature superficiali, come ad esempio nelle pareti rocciose durante l’ondata di caldo di fine giugno. In quasi tutti i 200 punti di misura, nel periodo 2018/2019 le temperature medie hanno fatto registrare valori solo di poco inferiori a quelli degli anni sinora più caldi, ossia il 2003 e il 2015. Le temperature superficiali vengono trasmesse al sottosuolo e determinano così le variazioni dello strato di disgelo e del permafrost sottostante. Dopo che l’anno precedente erano già state registrate nuove profondità massime dello strato di disgelo, le misurazioni di fine estate 2019 hanno mostrato nuovi record in molte località. Allo Stockhorn e al Ritigraben, nella Mattertal, al Corvatsch, in Engadina, e nel Basso Vallese (Lapires, Les Attelas) gli strati di disgelo erano da 5 a 20 centimetri più spessi rispetto all’anno precedente.
Riscaldamento anche in profondità
Le misurazioni dirette della temperatura del permafrost sono eseguite in 15 siti con fori di trivellazione profondi da 20 a 100 metri. Le fluttuazioni della temperatura sono vieppiù attenuate e ritardate in profondità. Dopo la temporanea interruzione del riscaldamento osservata due anni fa, nel 2019 le temperature in profondità hanno ricominciato ad aumentare e, come conseguenza della calda estate del 2018, si situano ora solo di poco al di sotto dei valori massimi (figura 4). L’effetto degli altrettanto caldi mesi estivi del 2019 si farà sentire solo un anno più tardi.
Se le temperature del permafrost sono solo leggermente inferiori a 0 °C e nel sottosuolo è presente molto ghiaccio, le temperature rimangono pressoché costanti. Questo effetto è chiamato «zero curtain» e va ascritto all’energia di fusione necessaria per convertire il ghiaccio in acqua. Le alterazioni nel permafrost non risultano perciò visibili nelle misurazioni della temperatura. Al fine di rilevare le variazioni del contenuto di ghiaccio, i metodi geofisici fanno ricorso alla diversa conduttività elettrica dell’acqua e del ghiaccio. La diminuzione continua delle resistenze elettriche presso cinque siti di trivellazione continua. La riduzione maggiore del contenuto di ghiaccio è stata osservata allo Stockhorn/VS.
La velocità di scorrimento dei ghiacciai rocciosi viene determinata annualmente. Essa dipende dal contenuto d’acqua e dalle fluttuazioni della temperatura del sottosuolo, ed è aumentata in media del 21% rispetto all’anno precedente, pure se con importanti differenze regionali. L’accelerazione maggiore è stata osservata in tre siti nella regione del Gottardo e a sud delle Alpi, dove durante l’inverno sono pure state registrate le temperature superficiali più elevate.
Eventi particolari
Situazione valanghiva nel gennaio 2019
Nella prima metà di gennaio, a nord le nevicate sono state continue e abbondanti. L’accumulo di neve fresca su dieci giorni, dal 5 al 14 gennaio 2019, ha battuto alcuni record soprattutto nell’est del paese. Dal Liechtenstein alla Prettigovia settentrionale, la quantità delle precipitazioni (da due a tre metri di neve fresca) corrisponde a un evento con periodo di ricorrenza pari a 150-300 anni; nelle altre regioni orientali a una ricorrenza di circa 30 anni. Tra il 12 e il 14 gennaio, sul versante nordalpino è diffusamente caduto fino a un metro o, qua e là, addirittura un metro e mezzo di neve. Questa grande quantità di neve fresca, unita alle tempeste, ha causato l’emissione di numerosi avvisi di pericolo di valanghe «molto forte» (livello 5 della relativa scala) tra la parte orientale dell’Oberland bernese e la Bassa Engadina. Con l’inverno valanghivo del 1999 e il gennaio 2018, si è trattato del terzo inverno caratterizzato da un pericolo di valanghe molto forte ampiamente diffuso. Le basse temperature hanno fatto sì che molte valanghe scendessero sotto forma di polvere e assumessero grandi dimensioni. Come già nell’inverno 2017/2018, le misure protettive strutturali, organizzative e di pianificazione territoriale si sono dimostrate valide. In questo periodo si sono registrati danni materiali, ma non danni a persone.
Frana al Flüela Wisshorn
Il 19 marzo 2019, poco dopo la mezzanotte, sulla cresta sudoccidentale del Flüela Wisshorn (3085 m) si è verificata una frana per un volume pari a circa 300 000 m3. Questa ha dato origine a una valanga di polvere molto grande, che ha quasi raggiunto la strada (chiusa) del passo del Flüela. I blocchi più grossi del crollo sono rimasti nell’alta valle, sotto la vetta, proprio lungo l’itinerario sciescursionistico tra la Winterlücke e il Flüela Wisshorn. La zona del distacco si situa a più di 3000 metri, con esposizione a nord-ovest e quindi in area di permafrost. Le misurazioni eseguite in altre località mostrano che, negli ultimi anni, nella roccia scoscesa e povera di ghiaccio, così come nelle creste, il permafrost si è riscaldato in modo particolarmente forte. Non è ancora possibile valutare l’importanza di questo processo come fattore scatenante. La struttura geologica della parete rocciosa e l’erosione hanno probabilmente svolto un ruolo primario.
Grandi frane in zone di permafrost possono verificarsi durante tutto l’anno. In profondità, le variazioni annuali delle temperature giungono ritardate oppure non sono misurabili. Come mostra l’inventario delle frane mantenuto dal Swiss Permafrost Monitoring Network PERMOS e dell’Istituto per lo studio della neve e delle valanghe, gli eventi di scala minore si accumulano invece durante l’estate.