© Sophie Rodriguez
Microbi ben pocofreddolosi L’EPFL scopre «giungle invisibili» nei ruscelli glaciali
Da tre anni, una squadra di ricercatori losannesi percorre i ghiacciai del globo alla ricerca di microorganismi che popolano i loro corsi d’acqua. Il loro scopo è di censire queste creature prima che scompaiano, vittime del riscaldamento climatico.
Non li vediamo, non li conosciamo, e tra poco non ci saranno più. È un destino tragico, quello dei microorganismi dei ruscelli glaciali. Sprovvisti del carisma degli oranghi o degli orsi polari, la loro imminente sparizione è una conseguenza dello scioglimento dei ghiacciai.
Censimento in extremis
Ma proprio qui entra in scena il pizzico di follia di una squadra della Scuola politecnica federale di Losanna (EPFL), guidata dal professor Tom Battin, che ha organizzato una gigantesca spedizione destinata a realizzare una specie di albo Panini di questi organismi invisibili a occhio nudo prima che sia troppo tardi. «Intendiamo allestire un censimento della vita microbica di questi ecosistemi in drastico cambiamento», spiega il professore di scienze ambientali che dirige il Laboratorio di ecologia dei corsi d’acqua.
Battezzato «Vanishing Glaciers» (Ghiacciai che scompaiono) e sostenuto dalla fondazione zurighese «The NOMIS Foundation», il progetto prevede il prelievo di migliaia di campioni di sedimenti nei letti di ruscelli situati ai piedi di 200 ghiacciai del mondo intero. La squadra di quattro ricercatori incaricata della raccolta ha così spiccato il volo per la Nuova Zelanda nel gennaio 2019, per poi proseguire le attività in Groenlandia, nel Caucaso e in Ecuador. Nell’estate 2020 si è concentrata sui ghiacciai norvegesi, così come su quelli delle Alpi svizzere e francesi. La scorsa primavera ha raggiunto l’Himalaya, il Pamir, prevedendo di poi andare in Alaska, nelle Ande e, prima della conclusione del progetto, nel 2022, anche in Uganda.
Il DNA per fare conoscenza
La raccolta di sedimenti, vale a dire le pietruzze e la sabbia dei ruscelli che i microbi colonizzano sotto forma di uno strato colloso, riserva istanti epici agli scienziati che raggiungono a piedi la maggior parte dei ghiacciai. Non è infatti facile passeggiare lungo i sentieri andini con una bombola di azoto liquido sulle spalle, ma neppure trovare la giusta via nel Caucaso con delle carte sovietiche vecchie di cinquant’anni! Dal canto suo, la spedizione nel Nepal ha alzato al massimo l’asticella della sfida con marce di avvicinamento che non si misuravano in ore, bensì in giorni, e – ciliegina sulla torta – neuroni come appiccicati assieme a causa dell’altitudine
I campioni prelevati da ogni ghiacciaio saranno almeno 90. «Tutta l’arte consiste nel non alterare la temperatura tra il prelevamento sul terreno e l’arrivo in laboratorio», sottolinea Tom Battin. I campioni vengono quindi immediatamente immersi nell’azoto liquido e rimpatriati puntualmente da un apposito corriere.
Dopo il loro trasferimento nei congelatori a –80 °C dell’EPFL, i sedimenti vengono sottoposti a diverse analisi. In particolare, il DNA viene estratto e sequenziato, mentre si procede a decodificare il genoma di taluni microorganismi. «Vorremmo comprendere come questa vita microbica sia riuscita ad adattarsi alle condizioni estreme durante migliaia, se non persino milioni di anni», continua. In effetti, nonostante il freddo l’irradiazione ultravioletta intensa e la scarsità di nutrimento, nei ruscelli glaciali la vita prospera. «Un cucchiaino da tè di sedimenti contiene milioni di batteri», spiega lo scienziato: «Si tratta di vere e proprie giungle invisibili!»
Nell’intento di stabilire che le medesime forme di vita si ritrovano in tutti i ruscelli glaciali del globo, la spedizione si occupa anche della biogeografia dei microorganismi. I primi risultati sembrano confermare questa ipotesi: «Questo indica forse il nucleo di un microbiota (una comunità di microorganismi che popola un medesimo ambiente; n.d.r.) molto specializzato per questo ecosistema», suppone lo studioso lussemburghese.
Microbi promettenti
Tuttavia, al di là dell’interesse puramente scientifico, questi microbi poco freddolosi valgono davvero un simile dispendio di mezzi? Assolutamente, risponde lo specialista in ecologia acquatica: «I microorganismi sono i direttori d’orchestra dei grandi flussi biogeochimici del nostro pianeta», afferma. E sebbene sia poco studiata, la partitura assegnata ai microbi dei ruscelli glaciali non è meno cruciale.
Il grande pubblico potrà d’altro canto beneficiare concretamente di una migliore conoscenza di queste forme di vita. «I criomicrobiologi sono per esempio alla ricerca di enzimi capaci di funzionare a temperature molto basse per processi industriali come la lisciva o la produzione di carta», spiega il ricercatore. «Questo consentirebbe un prezioso risparmio di energia.» In questi casi si parla di bioprospezione.
A un altro livello, questi microorganismi provenienti da ecosistemi «molto naturali e molto discosti» potrebbero fornire «nuovi antibiotici» e svolgere un ruolo essenziale nella lotta contro i batteri diventati resistenti. Appare ormai chiaro che le opportunità connesse a queste ricerche «all’interfaccia tra ecologia microbica e biotecnologia» sono innumerevoli. Ma il processo è lungo, e le lancette corrono. «Attualmente stiamo studiando il repertorio genetico di questi batteri. È incredibile ma anche molto frustrante», lamenta Tom Battin. «Non conosciamo il nome di oltre la metà di quei geni e questi organismi sono sull’orlo della sparizione.»