Les baignoires | Club Alpino Svizzero CAS
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Les baignoires Un breve racconto di Roland Lombard

Con una strizzatina d’occhio, l’autore romando racconta come abbia ricevuto in regalo la sua prima corda di canapa.

Le mie prime esperienze di arrampicata risalgono a quando ero molto giovane. Mi ero issato sopra una credenza, in cima alla quale mia nonna teneva dei vasi di marmellata. Ma mi ritrovo bloccato tra quella piattaforma e il soffitto. Un grido disperato allerta la famiglia. Atmosfera concitata con promesse di sculacciate. Ho un bel gridare «carnefici di bambini!»: i toni salgono. Mi libero una gamba, cado tra le braccia di mio padre facendo nel contempo cadere un vaso di marmellata. Il disastro si espande nel locale. Lo scapaccione del babbo è arrivato rapidissimo. Lascio a voi le conclusioni!

Alcuni anni più tardi, dopo aver letto attentamente in una pubblicazione per la gioventù come avvolgersi la corda attorno al corpo per eseguire una calata, ho cercato tra i tesori ereditati dagli antenati qualche canapo che mi permettesse di esercitare quella tecnica. In solaio ho trovato una fune di un dubbio colore giallo, ma di lunghezza e diametro considerevoli. Me ne sono appropriato e mi sono lanciato nell’avventura, non senza aver verificato con un campione che quella corda da bucato non si rompesse di netto al primo scossone un po’ brusco.

Con il Salève a portata di bici non rimaneva che scegliere il luogo del battesimo. Inizialmente avevo optato per una nicchia poco frequentata. Ma poi, considerando la possibilità di un incidente mortale e il desiderio di vedere il mio corpo recuperato in tempi ragionevoli per evitare inutili sofferenze alla mia famiglia, uno sperone bene in vista mi è sembrato l’ideale. Alla fin fine, però, il timore del ridicolo mi ha costretto al compromesso: una specie di sperone sopra il sentiero del Pas de l’Échelle, quel giusto lontano dalle attenzioni del popolo, mi ha offerto l’opportunità di sospendermi in maniera corretta secondo la teoria memorizzata e di constatare come, con le precauzioni dovute per evitare ogni intoppo fatale, il metodo funzionasse davvero.

Forte dell’esperienza acquisita, in uno di quei giovedì così popolari tra gli scolari dei miei tempi riuscii a convincere mia sorella ad accompagnarmi per un tratto di Salève. Un accenno di introduzione e qualche tentativo su dei blocchi di roccia e tutto va come in un filmato pubblicitario. Salita senza incidenti. Decido di scendere per il sentiero di Etiolets, un percorso ardimentoso che combina arrampicata dolce ed escursionismo. Il dramma si è svolto nel passaggio detto «Les baignoires», le vasche da bagno: un manto di calcare non troppo ripido, caratterizzato da grandi buchi che evitano sbucciature arrampicando in salita, ma abbastanza verticale da non dover correre durante la discesa in doppia.

Mi lancio e mi ritrovo senza problemi sul ripiano. Mia sorella segue con la fiducia nel cuore. Ma negli ultimi metri, la fune rompe il patto. Caduta a sorpresa con atterraggio di fortuna. A proposito di vasche da bagno: una doccia fredda! Nessuna ferita ma una crisi di nervi. Eccoci qua. Appollaiati sopra Ginevra. Tremiti e vertigini fanno la loro comparsa. Fortunatamente, oltre ai resti del picnic, il mio zaino cela una bottiglietta di «schnick»1 sottratta alla riserva paterna. Un sorso e ci sentiamo rinfrancati.

«Cerchiamo di calmarci!»

«Preghiamo?»

«Non è il momento di attirare l’attenzione! Ancora un goccio?»

Ripresi dall’emozione, non ci troviamo nella parete nord dell’Eiger. E optiamo per un’uscita dall’alto. L’arrampicata dolce viene prestamente approvata, quando...

«Siamo degli idioti! Perché non fare un nodo?»

Esaminiamo attentamente lo stroppo e tentiamo di riannodarne i fili sparsi. Un lavoro da certosini che richiede ore e intorpidisce le dita senza risultati soddisfacenti. Trascorre un secolo. È ovvio che un semplice nodo cappuccino è più efficace. Un ulteriore dose di «schnick» per ravvivare il morale della truppa e mi lancio nella calata. Ma la fune non vuole più sentir ragioni. A metà percorso si rompe in un altro punto. Urla di mia sorella, che vede il fratello spappolarsi precipitando sulla schiena. Evito una scivolata nefasta con un riflesso degno di un campione di lotta greco-romana. La testa finisce su un cuscino di erba medica. Un potente starnuto attesta la validità del suo polline.

Per finire, quando riponiamo le bici e apriamo la porta dell’alloggio famigliare, la luna è già alta. Non vi descrivo l’accoglienza: «Ci avete mandato il sangue in acqua! Non è possibile essere così imprudenti! E dire che gli paghiamo gli studi!»

È a causa di questa epopea – e grazie alle suppliche di mia sorella – che i miei genitori mi regalarono la mia prima corda da arrampicata. Una vera. Sessanta metri di canapa con un diametro di nove millimetri. Una rude compagna che si attorcigliava a ogni sosta, srotolata e arrotolata mille volte. Oggi ha più di sessant’anni. Ma è ancora resistente e robusta. La uso per tirare alberi e rami quando sfrondo o abbatto un albero in giardino. Ieri, mentre spostavo un faggio di notevoli dimensioni, si è rotta bruscamente, mandandomi a gambe all’aria in un cespuglio di biancospino!

L’intera raccolta

Questo racconto è appena stato pubblicato in una raccolta intitolata La grande cougne, che può essere ordinata all’autore all’indirizzo roland.lombard@laposte.net.

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