© Michael Cordey
Il freerider della sostenibilità Ritratto del ginevrino Mathieu Schaer
Ha fatto faville nel ristretto ambiente dello snowboard «core» e dei suoi «skiporn». Oggi, il ginevrino Mathieu Schaer coltiva un approccio sobrio e militante, supportato in profondità dalla sua formazione di ingegnere.
Ama la neve polverosa e, dopo la comparsa dell’inverno nelle Alpi, tracciarvi linee armoniose o «darci dentro», a seconda dell’umore. Il tutto molto spesso davanti all’obiettivo di qualche amico professionista dell’immagine. Ciò nonostante, Mathieu Schaer non è un freerider proprio come gli altri. Lo snowboarder ginevrino si è dato una svolta ecologica già una decina d’anni fa. E da allora, è raro che i media gli concedano il microfono senza che «Mat», come è conosciuto nell’ambiente, ne approfitti per diffondere la sua buona parola. Lui, che è tra l’altro collaboratore scientifico di MeteoSvizzera, è inesauribile in fatto di argomenti climatici ed ecologici. Ma non è sempre stato così.
«I miei amavano la montagna. Papà era architetto e la mamma lavorava nel sociale. A tre anni mi hanno messo sugli sci: mi hanno subito preso. Ma a nove anni, quando mio fratello Nelson è passato allo snowboard, l’ho seguito. All’epoca affittavamo uno chalet a La Clusaz (F). Tutti i nostri fine settimana erano all’insegna del freeride e del free style! E d’estate, con alcuni compagni di liceo andavamo ad allenarci allo snowpark di Les Deux Alpes. Divoravamo riviste specializzate e ci scambiavamo gli ultimi video del circuito. La scivolata era una fetta importante della nostra vita», ci ha spiegato Mat Schaer. È stato a inizio ottobre, durante un colloquio nel suo appartamento in un quartiere residenziale di Chêne-Bougeries. Il 32enne romando era appena tornato da un soggiorno ad Annecy per lo High Five Festival. E aveva fatto i 120 chilometri dell’andata e ritorno in bicicletta passando per la cresta del Salève!
Il frutto proibito dell’elisci
La celebre montagna franco-svizzera, che ha visto nascere l’arrampicata sportiva e il parapendio, è anche sua. Lì svolge quasi tutta la sua preparazione fisica, soprattutto il trail running e la MTB. E, qua e là, anche qualche scalata. A 16 anni concretizza il sogno di una sponsorizzazione. Seguono le prime gare, che spesso vince. Perfezionista e gran lavoratore, il ragazzo dà il 200 percento. A scuola è un allievo eccellente. E questo gli dà l’opportunità di trascorrere un trimestre all’estero. Opta per Whistler, stazione canadese cult, ufficialmente per perfezionare il suo inglese, ma i progressi con lo snowboard sono ancora più spettacolari. Al rientro comincia a gareggiare nel circuito mondiale e conquista rapidamente buone posizioni. Dei professionisti dell’immagine lo notano in un big air e il ginevrino viene reclutato dalla rinomata casa di produzione Absinthe Films, per la quale realizza una serie di skiporn, filmati destinati a un pubblico di nicchia di appassionati, caratterizzati da discese e linee spettacolari.
«Messa in tasca la maturità, ho deciso di concentrarmi al 100 percento sullo snowboard. I miei contratti mi permettevano di viverci. Mi muovevo piuttosto nelle Alpi, viaggiando spesso in treno, ma mi sono anche ritrovato su un aereo per praticare in Giappone, Nuova Zelanda o in Alaska.» Un’unica volta, da professionista, assaggia il frutto ormai proibito dell’elisci. «Nell’arco di tre ore abbiamo realizzato altrettante buone riprese che nei soliti tre giorni. È stato divertente e strano allo stesso tempo…»
Dall’IPCC a Pierre Rabhi
Al termine di quegli anni «sabbatici» Mat è in piena forma. Nel 2013, parallelamente al freeride, decide però di riprendere gli studi in scienze e ingegneria ambientali all’EPFL di Losanna. «La bolla dello snowboard professionistico, carica di valori edonisti, non mi calzava bene. Io sono il tipo che pensa al domani e non stappo lo champagne per un nonnulla…» Quel percorso risveglia in lui una «fibra ecologica di famiglia, non giunta sino ad allora alla consapevolezza». Le discussioni con il fratello, che lo ha preceduto nelle geoscienze all’università, alimenta la «conversione». Che è ricca di cifre, di fatti, di rapporti dell’IPCC e di idee filosofiche di Pierre Rabhi, ma che si riassume in questo: «Ho generato un bilancio del carbonio smisurato alla caccia di neve buona, che diventa sempre più rara proprio a causa del riscaldamento climatico e della CO2. Era un circolo vizioso e assurdo.»All’università, immerso in un ambiente molto militante, continua a praticare lo snowboard con il treno, ma senza ancora valorizzare questo modo di fare nei suoi filmati. Durante il master perde il suo sponsor principale, ma ha «ancora la fibra» e ne trova altri che condividono i suoi valori. Nel 2018 esce il film «Shelter», per il quale ogni sequenza è girata utilizzando i mezzi pubblici e la split board. Nel film appare Jeremy Jones, rider statunitense che per primo ha saputo imporre il tema del riscaldamento climatico nel suo ambiente attraverso la sua associazione «Protect Our Winter».
All’università, immerso in un ambiente molto militante, continua a praticare lo snowboard con il treno, ma senza ancora valorizzare questo modo di fare nei suoi filmati. Durante il master perde il suo sponsor principale, ma ha «ancora la fibra» e ne trova altri che condividono i suoi valori. Nel 2018 esce il film «Shelter», per il quale ogni sequenza è girata utilizzando i mezzi pubblici e la split board. Nel film appare Jeremy Jones, rider statunitense che per primo ha saputo imporre il tema del riscaldamento climatico nel suo ambiente attraverso la sua associazione «Protect Our Winter».
Convincere il grande pubblico
È una svolta che spinge Mat Schaer dalla scena cosiddetta «core» al grande pubblico, di fronte al quale espone i suoi argomenti forte della sua credibilità di ingegnere. «Bisogna incarnare il cambiamento. Io mi sono imposto dei limiti che, invece di andare a scendere in Giappone, mi hanno consentito di riscoprire i tesori delle nostre Alpi. Ormai faccio tutto con i mezzi pubblici, con la split board o a piedi, e trascorro splendide notti in capanna.» Oggi, il ginevrino esce ad esempio di casa di notte, con la tavola sullo zaino quando ancora nevica. «Solo per trovarmi nel pendio agognato nel momento giusto e constatare alla fine che la neve è magari già cambiata oppure è eccellente come speravo. È tutto un altro approccio. Un piacere immenso. Ero un freerider professionista delle stazioni; sono diventato un escursionista e un alpinista dilettante.»
Un filmato che lo mostra mentre sfugge per un pelo a un’enorme valanga ha suscitato di recente cattive voci. Il ginevrino lo aveva peraltro originariamente condiviso munito di un lungo testo che mescolava prevenzione educativa e scienza. Al di là di quella brutta esperienza, il trentenne è ben cosciente che la sua militanza può annoiare o irritare qualcuno. «Allora mi modero, anche se mi piace sfidare la nostra industria e cercare di federare tutti gli attori della montagna, dalla guida al ragazzino che passa il suo tempo negli snowpark, per essere assieme attori del cambiamento. Milito per cambiamenti sistematici e strutturali su larga scala, perché è così che potremo lottare efficacemente contro le crisi ecologiche.»
Un obiettivo che appare in parte raggiunto. «Prima non si vedeva un film senza una scena in cui qualcuno guidava una 4 × 4 o un arrivo in vetta in elicottero, come se questo fosse inerente alla nostra disciplina. Mostrare un rider che viaggia in treno era fuori moda, ora è diventato cool. Oggi due mondi si stanno sovrapponendo, e credo che finiremo per seppellire quello vecchio.»