I nuovi droni suscitano speranze Passi avanti nella localizzazione dei dispersi
Riuscire a cercare e salvare persone disperse e infortunate anche nelle condizioni più avverse: grazie a un mini elicottero, la Rega intende realizzare questo obiettivo ancora quest’anno. Una visita ai voli di prova a Hinterrhein/GR.
«È un progetto ambizioso e complicato. Ma il nostro obiettivo è quello di poter ritrovare le persone disperse anche di notte o con la nebbia, quando l’elicottero non vola», dice Sascha Hardegger, responsabile del programma Tecnologia e innovazione della Rega. Con il suo «piccolo», fa sul serio – altrettanto quanto la squadra dei droni, con il pilota Damiano Maeder e l’operatore Mattia Corti.
Mentre la Rega effettua attualmente circa 160 voli di ricerca all’anno, qualche dozzina di volte la guardia aerea è costretta a rinunciare a causa dell’oscurità o di condizioni meteorologiche avverse e ad attendere una situazione più favorevole. È qualcosa che, dopo più di tre anni di preparativi, i tre uomini nella tenuta rossa della Rega intendono cambiare. I voli di prova di questa giornata d’autunno nel complesso militare al passo del San Bernardino mirano a far avanzare ulteriormente il progetto.
Il drone salvavite
Il briefing è breve; il compito, difficile: ritrovare due dispersi o i loro cellulari in una valle difficilmente accessibile. Attualmente, oltre alla Rega nessuno è in grado di risolvere questo problema con un drone.
Mattia Corti si mette al computer in fondo al bus della Rega. La base di intervento mobile è analoga a un posto di lavoro nella torre di controllo di un aeroporto. Damiano Maeder prepara il suo velivolo al decollo. Non ha l’aspetto di un drone convenzionale, bensì quello di un piccolo elicottero. Pesa circa 17 chili e misura due metri dal muso alla coda. Il rotore principale ha un diametro di oltre due metri e, una volta in movimento, esige una distanza di sicurezza adeguata.
Dopo un ultimo scambio di occhiate tra Maeder e Corti, i rotori cominciano a girare. Il rumore del motore elettrico alimentato a batteria ricorda quello di un aspirapolvere e, con l’aumentare del regime di rotazione, si avvicina a quello di un elicottero. Dopo la fase di avvio, il drone inizia la ricerca in modo autonomo. Sorvola la zona nella quale si presume trovarsi la persona dispersa a un’altitudine di circa 80 metri, secondo un percorso di ricerca programmato. I segnali del navigatore satellitare gli indicano la via con la precisione di un metro. Un radar di terra ne stabilisce la quota, mentre il drone evita autonomamente gli ostacoli, come ad esempio in cavi, grazie a dei sistemi anticollisione.
Localizzazione puntuale
Un quarto d’ora più tardi, il moderno dispositivo di ricerca torna indietro e viene delicatamente fatto atterrare. Successivamente, il suo pilota, Damiano Maeder, si prende cura del piccolo velivolo equipaggiato con la più moderna tecnologia come se lo dovesse lodare per il successo del volo di ricerca appena compiuto.
«Missione compiuta – ottimamente, persino», annuncia Mattia Corti dal veicolo di comando. I due telefoni sono stati localizzati in due diversi campi di ricerca, l’uno di 20 × 20 metri e l’altro di 40 × 40 metri. Ciò che al profano può apparire relativamente impreciso, per la ricerca dall’aria è «puntuale», spiega Sascha Hardegger: «Una volta che la vittima è stata localizzata in un’area così piccola, per i servizi di intervento terrestri, ad esempio i soccorritori del CAS, è più facile rintracciare la persona bisognosa di aiuto.» Senza l’aiuto del drone, si tratterebbe si setacciare una zona di parecchi chilometri quadrati.
Drone con motore a benzina
I voli di prova a Hinterrhein dimostrano che le speranze che Sascha Hardegger ripone nel progetto del drone sono giustificate. Un ulteriore passo tecnico nella ricerca delle persone scomparse è imminente. Oltre al drone elettrico, ne esiste anche una versione (leggermente più rumorosa) con motore a benzina. Entrambe le versioni possono anche essere equipaggiate con telecamere termiche e ottiche. Un software con funzioni di apprendimento a bordo del drone valuta continuamente le immagini. Se trova uno schema di pixel che suggerisce una persona, il drone trasmette le immagini all’operatore a terra, che le controlla e può poi inoltrare i risultati alla squadra di ricerca.
Domande aperte
Quattro ore dopo, sotto l’Adula, il drone della Rega viene riposto nella sua «tasca». Sascha Hardegger è soddisfatto e sempre più fiducioso che – indipendentemente dalla versione – i droni della Rega saranno impiegati nei loro primi interventi seri già quest’anno.
Prima della conclusione dell’addestramento di tre o quattro squadre, formate ognuna da un operatore e un pilota, occorrerà tuttavia ancora un po’ di tempo. Né è ancora chiaro chi verrà formato per l’utilizzo di questi droni, aggiunge Hardegger: in fin dei conti, questa non è un’occupazione a tempo pieno, ma solo un’attività accessoria. D’altro canto, le squadre, con il rispettivo drone e veicolo di comando, devono essere pronte a intervenire sette giorni su sette e 24 ore su 24. Secondo Hardegger rimane infine da chiarire presso quali basi della Rega i droni saranno stazionati e pronti per entrare in azione su richiesta della polizia e delle unità di soccorso.
Sia quel che sia, la Rega ha spalancato le porte a una nuova era della ricerca e dispone di possibilità tecniche di cui sinora nessun altro può fruire. Ma Sascha Hardegger è anche convinto che non ci vorrà molto, prima che questi metodi di ricerca aerea non rappresentino più un’eccezione: «Anche se c’è ancora molto da fare», conclude il direttore del programma sempre concentrato con una nota di orgoglio nella voce.