Cinque volte più veloce di te in salita Il camoscio
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10 000 metri all’ora? Una performance degna di un autentico montanaro, direte voi. Piuttosto una specie di trailrunner dalle capacità fisiche straordinarie che si sarebbe ritrovato suo malgrado in tacchi a spillo su un nevaio a 3000 metri di altitudine, risponderei io.
In realtà, il camoscio non è altro che una splendida antilope giunta dalle steppe dell’Anatolia qualche decina di migliaia di anni fa. Approfittando dei lunghi periodi interglaciali asciutti, ha colonizzato nuovi territori, tra i quali le nostre Alpi. Lo sviluppo delle attività umane l’ha gradualmente esclusa dalla maggior parte delle pianure, più o meno come il caso del marciatore diventato – appunto – trailrunner. Questo vicino della zebra e della giraffa che noi oggi chiamiamo camoscio è diventato il simbolo dei dirupi e dell’alta quota, emblema e segno di riconoscimento del Club Alpino Svizzero.
Estremamente resistente grazie a un cuore grande proporzionalmente due volte quello dell’uomo, questo animale si è conservato sulle montagne nonostante alcuni episodi climatici talvolta sfavorevoli. E tuttavia, le nevi soffici rappresentano una sfida importante per questo saltatore e corridore dalle zampe lunghe e fini, terminanti con degli zoccoli appuntiti. Nella neve molle non ha la portanza del plantigrado né l’ampio zoccolo della renna, e finisce per sprofondare.
Benché incredibilmente robusto e resistente, ogni anno il camoscio paga all’inverno un pesante tributo. Con le prime nevi la mortalità è elevata tra i giovani esemplari dell’anno, e i maschi dominanti sono spossati dal lungo periodo degli amori, che dura da ottobre a novembre. L’ultima neve fresca e le nevi primaverili a volte così molli nel pomeriggio mettono a dura prova le femmine gravide già prossime al parto, che ha luogo tra maggio e giugno. La nostra gazzella è schiva e se incontra un essere umano a meno di 100 metri di solito si getta alla fuga immediatamente. Costi quello che costi.