Abito in Paradiso
Non posso che iniziare questa recensione con una citazione perché le parole, la poesia e il pensiero critico di Chantal Mauduit colpiscono veloci come il dardo di una freccia e vanno dritte al cuore: «L’ego ghiaccia in fretta a 8000 metri, in compenso bisogna restare svegli ad attender il suo disgelo. La nostra società crede di aver bisogno di eroi; ormai da millenni gli orientali vivono ben oltre questa illusione occidentale. Di certo incrociare nella vita uno dei rari esseri che hanno raggiunto un livello di coscienza d’alta quota è una ricerca mistica.» Arrampicare, sfidare la montagna è anche e soprattutto questo, una ricerca mistica, un’esperienza spirituale. Non c’è bisogno di dire che Chantal Mauduit, scomparsa a soli 34 anni, travolta da una valanga sul Dhaulaghiri, era un’idealista. Parigina e alpinista, in montagna si muoveva sempre con il suo equipaggiamento e carica di libri. Come racconta Nives Meroi nella prefazione questo libro è il racconto del viaggio e delle imprese di Chantal Mauduit che non solo si è saputa affermare in un settore maschile raggiungendo spesso in solitaria e senza ossigeno le cime del Chogori nel 1992, del Shisha Pangma e del Cho Oyo nel 1993, per citarne alcune, ma è anche un’attenta critica della società e del nostro stile di vita nelle città. Abito in paradiso è molto intimo e personale, poetico che attraverso i suoi racconti e il diario di Mauduit ci porta dall’Himalaya al Marocco passando per le vertigini dell’anima di questa giovane e caparbia alpinista che aveva una speciale e preziosa comprensione del mondo. Questo volume è un’ottima occasione per conoscerla.
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Chantal Mauduit