A piedi sul confine linguistico Il Gros Brun nella Gruyère
Il Gros Brun, o Schopfenspitz, è la cima più alta di un piccolo massiccio composto da Dents Vertes, Vanil d’Arpille, Chörblispitz e Spitzflue. Situato proprio sul « Röstigraben », qui i nomi delle vette cambiano di versante in versante.
La cresta si fa sempre più stretta. Per un attimo, il picco dell’adrenalina sale. La via è esposta, ma ben scalinata. Il momento è breve, e presto si allarga di nuovo. E più ci si avvicina alla Pointe de Balachaux, più il paesaggio diventa attraente.
La gioia di aver raggiunto la cima è solo di breve durata, poiché ora, prima di percorrere l’ultimo pendio, ci attende una dura discesa di oltre 100 metri, male accettata dalle gambe già sollecitate. Già, perché questa escursione iniziata al convento della Valsainte dura già da circa tre ore. Il convento è l’unica certosa ancora esistente in Svizzera, e risale al XIII secolo. Nel 2010, ospitava 12 padri e sette fratelli laici.
Dopo una breve discesa, l’itinerario ci ha condotti dapprima attraverso la Forêt des Reposoirs a buoni 1000 metri, per proseguire oltre il Ruisseau de L’Essert e lungo la ripida salita fino al Bi Gîte e ancora sul ripido versante del Patraflon, dove inizia la lunga cresta.
La Pointe era l’ultima « punta » prima del Gros Brun, o Schopfenspitz, come è chiamato in tedesco. Alla sua destra, la cima spigolosa del Vanil d’Arpille, o Maischüpfenspitz, con le sue creste. A sinistra, dei nevai ostinati disegnano motivi nella Breccaschlund, ai piedi della Chörblispitz, dove qua e là si scorge qualche camoscio. Più lontano, invisibili ai piedi del Kaiseregg, le rive dello Schwarzsee, il Lac Noir, le cui acque solforose sono apprezzate da quasi 200 anni per le loro virtù curative.
Denti, picchi e belle vedute
Una salita straordinaria ripagata da un panorama altrettanto fuori del comune. La scelta del Gros Brun si giustifica in pieno. Dall’ampia cima lo sguardo spazia dalle rive del Lago Lemano all’altopiano, al Giura e al rilievo collinoso del massiccio della Berra. Girandosi di 180 gradi, l’occhio precipita nel vuoto. Jaun, rispettivamente Bellegarde, e Im Fang giacciono ai nostri piedi, dove anche lo Jaunbach – la Jogne – snoda i suoi meandri. Dietro, a occidente, il dirupato Dent de Ruth e, alla sua sinistra il Pic Sucré. È lunga 15 chilometri la catena dei Gastlosen, nel mezzo della quale corre il « Röstigraben » linguistico. In primo piano, a destra, la germanofona Hochmatt, l’alpeggio più alto di questo cantone bilingue che continua sulla destra con i francofoni Massif des Vanils, Dent de Brenleire e Dent de Folliéran. Infine, sullo sfondo, gli innevati giganti delle Alpi bernesi e vallesane.
Davanti mucche, dietro montagne ; pittura « poya »
Dopo creste e vette, si scende in direzione di Balachaux, superando un paio di ripidi nevai residui che richiedono una certa cautela, fino all’alpeggio di Gros Morvau (1551 m). Serpeggiando attraverso un fitto bosco, un ripido sentiero conduce ai pascoli in fiore. Infine ritorniamo al convento della Valsainte. Gli chalet con le tipiche scandole friborghesi, le tonde colline dai pendii in parte boschivi : ecco i motivi della pittura « poya » con la quale i pastori hanno fissato il loro ambiente su tavole di legno. Ancora oggi l’intera regione vanta un ricco artigianato tradizionale. Ma il meglio deve ancora venire : le calde acque dei bagni di Charmey e, immersi in esse, la soddisfazione di aver salito tre cime in un unico giorno.