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Con i nomadi sui Monti Zagros Tra i nomadi Bakhtiari nell’Iran occidentale

Da secoli, in primavera, i nomadi dell’Iran si trasferiscono con le loro greggi dai pascoli invernali nella provincia occidentale del Khuzestan attraverso diverse catene montuose degli Zagros a quelli estivi nella provincia di Chaharmahal Bakhtiari. La transumanza dura circa due settimane, a seconda della neve presente alle alte quote, della portata dei fiumi e dei giorni di pioggia che costringono ad attese lungo il percorso.

Lali, una piccola città del Khuzestan. Per i nomadi Bakhtiari è l’ultima opportunità per acquistare viveri e attrezzature prima di partire per la transumanza di due settimane verso i pascoli estivi. Lo stesso vale per noi: Yousef, un amico di Teheran, Katherina, allevatrice di cavalli del Lorestan, Reza, un Bakhtiari. Compriamo uova, pomodori, cipolle e mele, poiché lungo la strada le derrate fresche sono quasi introvabili.

Fortunatamente, Reza conosce molte piante che crescono sulle montagne, le cui radici e foglie potremo utilizzare come verdure, spezie o tisane. La nostra dieta è integrata da carne fresca, focaccia, yogurt e latte di pecora fermentato, chiamato «duuch», che acquistiamo dai nomadi. Reza non conosce come le sue tasche solo le piante, ma anche i sentieri e i luoghi di sosta. La sua prima migrazione dai pascoli estivi a quelli invernali con la famiglia e gli animali l’ha compiuta a cinque anni.

In mezzo alle greggi

Ci mettiamo in marcia in una giornata soleggiata di maggio. La strada sterrata è polverosa, a destra e a sinistra campi di grano vengono mietuti con la falce. Tutto è tranquillo nei piccoli insediamenti, noi siamo la sola distrazione nel caldo sole di mezzogiorno e veniamo osservati con interesse mentre attraversiamo i villaggi diretti verso le montagne con i nostri grossi zaini e senza la compagnia di pecore e capre. Dove state andando? Cosa fanno quei due, evidentemente stranieri?

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Al tramonto ci alziamo, mettiamo l’acqua a bollire sul fuoco e prepariamo il tè alla persiana, forte, con un cubetto di zucchero sulla lingua.

Montiamo le nostre piccole tende poco prima di coricarci. Siamo soli. I nomadi si sono accampati con le greggi e i cani nei loro luoghi di sosta. Al tramonto ci alziamo, mettiamo l’acqua a bollire sul fuoco e prepariamo il tè alla persiana, forte, con un cubetto di zucchero sulla lingua. Reza e Yousef hanno i loro bicchieri da tè decorati, Katherina e io ci accontentiamo di tazze in plastica.

Anche i nomadi si incamminano presto. Percorrono la nostra medesima strada polverosa. A volte sono davanti a noi, altre volte dietro. Altre ancora siamo in mezzo alle loro greggi. Chiacchieriamo con la gente, chiedono da dove vengo, si meravigliano della nostra impresa, per loro strana. Dopo alcune ore di salita, una coppia anziana ci invita per un tè e del «dough» fatto in casa, una bevanda persiana a base di yogurt. C’è anche del «kaskh», una specie di formaggio, e della focaccia. Al pari dei nomadi, tra le 11 e le 15.30 circa facciamo una lunga sosta per evitare la calura. Poi facciamo un altro buon tratto di strada fino al tramonto.

Nuove strade e pick-up

Da un paio d’anni, le modalità della migrazione, ma anche il nomadismo in generale, sono fortemente cambiate. Ponti di nuova costruzione facilitano l’attraversamento dei fiumi, nuove strade, alcune asfaltate, semplificano il trasporto di famiglie e animali, masserizie e tende. Il governo sostiene finanziariamente il trasporto delle greggi tramite autocarri.

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I sentieri di montagna sono ripidi e scivolosi, nelle valli più discoste si incontrano gli orsi. Solo lo scorso anno, due pastori hanno riportato ferite mortali.

Immer seltener sind ganze Familien auf den alten Pfaden unterwegs. Häufig ziehen nur noch die jungen, starken Männer mit den Tieren los. Die älteren Familienmitglieder, Frauen und Kinder umfahren in ihren blauen Zamyad-Pick-ups die abgelegenen Täler und Pässe, die die Herden passieren, um irgendwann wieder auf die Tiere und ihre Begleiter zu stossen.

Energia solare per i nomadi

Non passa molto tempo perché non ricordiamo più quanti passi pedemontani abbiamo attraversato, quanti pastori e quanti animali abbiamo incontrato, quale sia il giorno della settimana e da quante ore dopo l’alba siamo in cammino.

L’unico giorno di pioggia ci costringe a una sosta. Una famiglia ci invita nella sua tenda. È una tenda tradizionale dei nomadi, realizzata in pelo di capra nero. Con il sole, dispensa ombra e fa circolare una leggera corrente d’aria. Con la pioggia, il tessuto si gonfia e la rende impermeabile. Le luci elettriche all’interno facilitano enormemente la vita. Sono alimentate da impianti fotovoltaici mobili, che il governo ha fornito ai nomadi a prezzi vantaggiosi. Permettono anche di ricaricare i telefoni cellulari, senza i quali anche la vita da nomadi è oggi ben difficile da immaginare.

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Gli impianti fotovoltaici mobili permettono anche di ricaricare i telefoni cellulari, senza i quali anche la vita da nomadi è oggi ben difficile da immaginare.

Nella salita a Zard-e Kuh, la montagna gialla, il punto culminante del nostro itinerario, ci curiamo di raccogliere la legna dei cespugli secchi. Ci permetterà di accendere un fuoco e di cucinare e arrostire la carne nella piccola caverna a 2500 metri nella quale trascorreremo la notte. Al tramonto, due Bakhtiari con i loro animali si uniscono a noi. Diamo loro un po’ della nostra legna e di carne arrostita. Mentre ci sdraiamo nei sacchi a pelo, i pastori fanno la guardia a turno. Orsi, lupi, ma anche ladri si incontrano ovunque ci siano i nomadi con i loro animali.

Quando ci alziamo è ancora buio e ci apprestiamo alla salita dei pendii ricoperti di neve gelata fino al punto più alto del percorso. Anche i pastori e le greggi si mettono in cammino. Il più anziano dei due, un 74enne, fa il passo. Conduce i muli e ci passa davanti.

Alì, dal canto suo, grida «jäwash, jäwash» – piano, piano – poiché pecore e capre non riescono a tenere quel ritmo. Hanno fame, quassù di erba non ne cresce. Dopo due ore eccoci al passo di Zard-e Kuh, a 3500 metri. A nord della cresta c’è un’enorme quantità di neve. La vetta della montagna è a 3947 metri. Salirvi per i nevai gelati senza ramponi è tuttavia troppo rischioso.

Una coturnice come ringraziamento

Sotto il passo, nella neve soffice si scende con facilità. Nel ripido pendio innevato, Yousef scopre due coturnici che si accoppiano. Alì, il pastore più giovane, si avvicina a un mulo, estrae da un grosso involucro un fucile a canna singola e corre via. Aggira l’isola rocciosa, spara e colpisce uno degli uccelli. Lo offre a Reza, a ringraziamento della nostra generosità la sera precedente. La coturnice si rivelerà una gustosissima cena.

Il giorno successivo superiamo la gigantesca sorgente del Kuhrang e giungiamo a Chelgerd. Yousef dice che qui il paesaggio non ha che due colori: verde e bianco. D’inverno, quando la situazione politica lo permette, ci vengono sempre più spesso degli sciescursionisti europei. Chelgerd è una piccola, bella cittadina di Chaharmahal Bakhtiari, in mezzo alle montagne. Nei fine settimana è frequentata da turisti iraniani di Isfahan. Piccoli negozi fiancheggiano la via principale. Per i nomadi Bakhtiari, Chelgerd è l’ultima opportunità di fare acquisti prima di ripercorrere in autunno la via verso il Khuzestan.

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